Quale fu il contributo della “scuola carrarese” ai mutamenti di stile e gusto che accompagnarono in Italia il passaggio dalla scultura neoclassica a quella verista? 
La risposta si trova in “Canova e i maestri del marmo”, mostra che mette in luce un cambiamento di stagione, dove si determina il passaggio da uno statuto istituzionale e accademico, anche nell’indicare i modelli e lo stile di riferimento, a una committenza prestigiosa, soprattutto per qualità di gusto, oltre che per fama e disponibilità economica, in grado di avviare il marmo e la scultura a nuove fortune. 
L’esposizione è stata allestita a Carrara, la culla delle migliori sculture di tutti i tempi, grazie alla brillantezza, purezza e corposità dei suoi marmi. 
Organizzata dalla Fondazione Giorgio Conti con la collaborazione del Museo Ermitage di San Pietroburgo, è stata curata da Sergej Androsov e Massimo Bertozzi, ed è allestita a Palazzo Cucchiari, sede della Fondazione, che riapre al pubblico le sue splendide sale, dopo l’accurato restauro curato dall’architetto Tiziano Lera.
L’Italo-Americano ha intervistato Massimo Bertozzi che ha collaborato, come curatore di mostre e esposizioni, con vari enti e istituzioni tra i quali i Comuni di Carrara, di Forte dei Marmi, Monsummano Terme, Seravezza, Barberino del Mugello. Tra il 2005 e il 2007 è stato consulente della Commissione del Ministero per le Infrastrutture per la collocazione di opere d’arte negli edifici pubblici. Ha all’attivo la pubblicazione di oltre cento fra libri, cataloghi d’arte, contributi critici.
 
Come è nata l’idea di una collaborazione con l’Ermitage di San Pietroburgo?
È storia antica. Il primo incontro con Sergej Androsov avviene nei primi anni Novanta del secolo scorso, originato dal comune interesse per la scultura carrarese. Fu una visita di Androsov alla gipsoteca dell’Accademia di Carrara a suggerire l’idea di riportare in Italia alcune delle sculture in marmo realizzate dai principali scultori carraresi per poterle nuovamente confrontare con il loro modello in gesso: ne scaturì nel 1996 la mostra “I Marmi degli Zar”, allestita al Palazzo Ducale di Massa e in parte all’Accademia di Carrara.
Da allora la collaborazione è continuata fino ad oggi, con importanti realizzazioni sia in Italia che in Russia, come nel caso della mostra dedicata all’Adolescente di Michelangelo, al Palazzo Ducale di Massa, o della mostra di Giuliano Vangi all’Ermitage.
 
La mostra carrarese è articolata attorno a sedici sculture in marmo. Quale è il valore artistico e culturale, di questa raccolta?
A parte l’Orfeo che in effetti fu la scultura che rivelò al grande pubblico il genio di Antonio Canova, ci sono opere dei principali scultori carraresi dell’Ottocento, Tenerani, Finelli e Bienaimé, che insieme a Lorenzo Bartolini, qui rappresentato da una delle sue opere più significative, la Fiducia in Dio, rappresentano il meglio della scultura italiana in epoca romantica.
 
 Parliamo della “Scuola carrarese”, fucina di artisti e di opere meravigliose. Che cosa hanno lasciato alle generazioni successive?
Una precisa idea della scultura, del suo specifico linguaggio, che è insieme espressione naturale e invenzione formale, e un’etica quasi spirituale del mestiere, difficile e ingombrante non solo per la sua fisicità ma per il peso della tradizione che ha alle spalle.  
 
 Si parla di illustri committenti, per questi capolavori. Chi furono?
Tra i russi sicuramente lo zar Nicola I, grande conoscitore e collezionista della scultura del suo tempo, come dimostra la portata delle sale della Scultura Moderna da lui volute nell’allestimento del Nuovo Ermitage, che nel 1852 fu il primo museo pubblico di Russia. Tra gli italiani il conte Sommaria, cui si deve il primo impulso alla nascita della Psiche Svenuta di Tenerani, o la marchesa Rosa Trivulzio, committente della prima versione della Fiducia in Dio di Lorenzo Bartolini.
 
Antonio Canova, l’insuperabile, e la città di Carrara. Quale fil rouge li ha uniti?
Innanzitutto Antonio Canova trova a Carrara il prezioso marmo statuario senza il quale tutta la scultura, e non solo quella di Canova, sarebbe un’altra cosa. Ma poi Canova ebbe un ruolo specifico nell’apertura dei laboratori statali di scultura che Napoleone, attraverso la sorella, volle collocati specificamente a Carrara, a partire dall’indicazione di Lorenzo Bartolini come direttore dell’Accademia di Belle Arti. 
Ma poi fu soprattutto il magistero dello scultore di Possagno a indirizzare l’attività dei principali artisti carraresi dell’epoca, che a turno, e con diverse funzioni, operarono e si perfezionarono nella bottega romana del Canova.
 
 “Non c’è via più sicura per evadere il mondo che l’arte. Ma non c’è legame più sicuro con esso, che l’arte”, diceva Goethe. Palazzo Cucchiari, dopo decenni, ha ricevuto un restyling totale, tornando a splendere di luce propria. Pensa che diventerà l’oasi culturale della città di Carrara? 
Penso che intanto possa rappresentare un’occasione straordinaria per recuperare la tradizionale cultura artistica della città. Ma insieme potrà suggerire percorsi di accoglienza al nuovo, che in termini di linguaggi e di tecniche della scultura, arriva da fuori, avendo, come dimostra il recupero del Palazzo, particolare attenzione alla qualità delle iniziative.
 
Cosa offre al visitatore una mostra come questa?
Si possono vedere alcuni capolavori della scultura italiana, altrimenti conservati in una sede non proprio a portata di mano, come San Pietroburgo, e poi consente di toccare con mano una straordinaria iniziativa di salvataggio di un bene culturale, conservato e rimesso a disposizione del pubblico, dall’amor patrio di una famiglia carrarese, dimostrato con i fatti e non solo a parole.   
 

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