Nei film, e specialmente nelle commedie italiane del periodo post-seconda guerra mondiale, il ruolo del cibo è di importanza incredibile visto che per l’ultimo periodo era stato qualcosa che gli italiani non avevano avuto con facilità. 
Durante la prima metà del ventesimo secolo una grossa parte della popolazione italiana non ne ha avuto molto e anche il cibo era spesso poco e molto povero. Questo aspetto della vita comune spesso viene ritrovato nei film fatti successivamente. Era un aspetto poco piacevole della vita, ma anche un modo per gli spettatori di rivedersi nei personaggi dei film e un modo per ricordare in futuro quello che le persone avevano provato a quei tempi.
 
Antonio De Curtis, chiamato più semplicemente Totò, era un attore italiano nato a Napoli nel 1898 che morì nel 1967 e che seppe profondamente che cosa volesse dire vivere da persona povera mangiando poco e niente. Il padre lo riconobbe solo successivamente durante la sua vita da adulto. Per questo, nella prima parte della sua vita, sua madre, che non aveva una buona riserva di denaro, lo crebbe da sola e conseguentemente ebbe la possibilità di dargli soltanto cibo di un certo genere, e non certo il più caro. Grazie a questo, quando divenne un adulto e guadagnò molto grazie alla sua carriera e grazie all’uomo che lo adottò, tenne sempre in mente le persone che stavano soffrendo per la fame e decise di aiutarle con donazioni di cibo e di soldi e con supporto costante durante la sua vita.
Molti dei suoi lavori ebbero spazi estremamente importanti per il cibo, ma in uno in particolare dei film in cui ha recitato recitò una scena che divenne incredibilmente famosa nonostante la sua semplicità e che viene ancora ricordata come una delle più comiche scene nella storia del cinema italiano. 
 
Il film si chiama “Miseria e Nobiltà”, diretto da Mario Mattoli nel 1954 e basato su un’opera teatrale del 1888 scritta da Eduardo Scarpetta. Il personaggio principale si chiama Felice Sciosciammocca, un uomo povero che cerca di lavorare come scrivano. Vive con suo figlio e con un’altra famiglia nella stessa casa, come spesso accadeva alla fine del 1800 per abbassare i costi della vita, e sembra che la sua vita sia costretta in povertà. Un giorno, invece, accade un evento inaspettato: gli viene chiesto da un giovane marchese chiamato Ottavio di aiutarlo a trovare un modo per sposare una giovane ballerina, figlia di un ricco chef. La vita va avanti con una serie di intrighi e complicazioni.
La famosa scena menzionata precedentemente mostra Totò, mentre interpreta il personaggio di Felice, con gli altri membri della sua “famiglia allargata” che lentamente si avvicinano ad un piatto di spaghetti molto grande preparato da uno chef e servito elegantemente sulla loro umile tavola addobbata adeguatamente dai camerieri. 
Continuando a stare seduti, i personaggi si muovono a piccoli passi trascinandosi dietro la sedia fino a quando non saltano tutti assieme verso il gigantesco piatto di pasta e iniziano a prendere gli spaghetti con le loro stesse mani. Tutti gli attori a quel punto iniziano ad ingurgitare la pasta con sempre maggiore foga fino a quando non vedono un uomo che si avvicina e si fermano (tutti tranne Totò che rimane dietro le loro spalle a mangiare) per chiedergli se ci fosse qualche problema. Quando lo sgradito ospite si allontana, ricominciano a mangiare tutti assieme e si vede il personaggio di Felice mentre si mette via degli spaghetti in tasca (perché non si può sapere cosa riservi il futuro).
 
Antonio De Curtis una volta raccontò una memoria di quando era giovane. 
Al tempo era solo un adolescente e mentre era a teatro vide, insieme a Eduardo de Filippo (suo amico di una vita e stimabile collega), un piccione volare all’interno del salone dove si trovavano. I due si guardarono e capirono che entrambi stavano pensando alla stessa cosa: acchiapparono il piccione e lo portarono in un ristorante lì vicino per farselo preparare per poi mangiarlo. Quando Totò raccontò di quel momento disse che allora iniziò a piangere pensando all’idea di aver ucciso un animale ma poi, insieme a Eduardo, capì che a causa della fame che provava, non si poteva commuovere per ogni animali morto per sfamarli.
 
È grazie a queste scene, sia di finzione che di vita reale, che le persone delle generazioni future si spera riescano sempre a capire come non dovremmo dare il cibo per sicuro. 
Ci sono state persone che durante la loro vita si sono messe via gli spaghetti cotti in tasca pensando che forse sarebbero tornati comodi un giorno e altri che hanno dovuto piangere sul loro piatto pensando al povero piccione che si stavano mangiando. 
Questo dovrebbe farci pensare a quanto siamo fortunati di vivere in un luogo e in un tempo dove abbiamo la possibilità di scegliere tra infinite possibilità di cibo a nostra disposizione. Dovremmo pensare molto attentamente a quello che compriamo e come lo consumiamo perché le nostre cattive abitudini stanno distruggendo il mondo attorno a noi; e limitando la biodiversità mondiale, limitiamo il nostro cibo, la nostra vita e il luogo dove viviamo… perché dove c’è il nostro cibo, c’è casa nostra.

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