Che la cucina italiana sia molto più che una questione di gusti, è evidente. L’esistenza di un’Accademia tutta dedicata alla tradizione culinaria italiana ne è una prova. Un’istituzione in piena regola, finalizzata, alla discussione di problematiche culturali e sociali legate al cibo e alla cucina.
 
Eh sì, perchè per l’Italia il cibo è anche espressione di tradizioni, abitudini, gusto; è il riflesso di una società in continua evoluzione, diversa per ogni luogo e ogni gruppo. Conoscere la tradizione culinaria italiana significa conoscere la storia del nostro paese, così come portarla avanti significa preservare una parte fondamentale della nostra cultura.
  Giovanni Ballarini, presidente dell’Accademia Italiana della Cucina

  Giovanni Ballarini, presidente dell’Accademia Italiana della Cucina

 
Fondata nel 1953 a Milano proprio con l’obiettivo di salvaguardare i principi della “civiltà della tavola”, l’Accademia Italiana della Cucina conta oggi 213 delegazioni in Italia e ben 77 all’estero. Gli Stati Uniti ne ospitano 14, di cui 4 in California. Della loro funzione e dei propositi dell’Accademia abbiamo discusso con il presidente Giovanni Ballarini, impegnato nel tour delle delegazioni californiane, e di passaggio a Los Angeles, anche in occasione della prima di Pinocchio all’Istituto Italiano di Cultura. Con lui anche Francesca Harrison, delegata a Los Angeles dallo scorso settembre 2012.
 
“Quando viaggiamo fuori dai confini lo facciamo per osservare come la cucina italiana viene fatta all’estero, come i ristoratori e i ristoranti si rapportano all’Italia”, ci spiega Ballarini.
 
Che ruolo hanno dunque i ristoranti nella promozione della tradizione culinaria italiana?
G.B.: Noi riteniamo che la cucina italiana si impari in famiglia e al ristorante. La TV, i libri, le altre forme di spettacolo possono dire qualcosa, ma molto poco. È come l’amore: non lo si impara guardando la TV, lo si conosce solo con l’esperienza. Purtroppo la tradizione del pasto in famiglia si sta sfaldando, e di conseguenza i ristoranti rimangono il punto di riferimento per la cucina italiana. Noi, con le nostre delegazioni, selezioniamo quelli che crediamo rappresentino ancora un buona immagine della cucina italiana.
 
F.H.: La delegazione di Los Angeles si riunisce circa una volta ogni due mesi. Insieme al vice delegato Elisabetta Conti, al tesoriere Caterina Magrone e all’intera nostra delegazione, che conta circa 15 membri, si sceglie il ristorante e il menù. Ci sono moltissimi ristoranti e trattorie qui a Los Angeles; ci piace scoprirli e valutare la loro autenticità. Questi vengono poi inseriti nella guida dell’Accademia, che tra l’altro ora è accessibile anche tramite IPhone e Android (Guida ai Ristoranti dell’Accademia Italiana della Cucina) per poter trovare un buon ristorante italiano ovunque ci si trovi. Per i ristoratori è un’occasione di mettersi alla prova, di dimostrare le loro qualità; per noi è un’occasione per discutere di tutto ciò.
  Guida ai Ristoranti dell’Accademia, disponibile su IPhone, IPad e Android

  Guida ai Ristoranti dell’Accademia, disponibile su IPhone, IPad e Android

 
Quando si parla di cucina italiana, a che tipo di cucina si fa riferimento?
G.B.: Ovviamente alla cucina italiana di oggi. Siamo coscienti del fatto che la tradizione si evolve, e quello che si mangiava 30 o 40 anni fa, tranne delle eccezioni, è diverso da quello che si mangia oggi. Magari esiste ancora, ma in forme diverse. Nella mia esperienza all’estero ho visto piatti fatti ancora secondo la ricetta originale e altri che sono stati modificati per adeguarsi ai tempi e ai luoghi.
 
Dov’è il limite tra evoluzione e perdita della matrice italiana?
G.B.: Anche evolvendosi, le tradizioni e i diversi piatti devono mantenere il buon gusto e lo stile italiano. Lo stesso vale ad esempio nella moda…anche quella si evolve, eppure la moda italiana la si riconosce dallo stile. Lo stile italiano deve guidare le scelte in cucina. Le evoluzioni sono necessarie, per diversi motivi: sono cambiati i ritmi di vita, sono cambiate le materie prime a disposizione, e sono arrivate nuove tecnologie. Prima si cuoceva solo con lo spiedo sul fuoco, poi è arrivato il carbone, il gas, l’elettricità, il microonde, il sottovuoto, ecc. Perché rinuniciarci? Quello che conta è che sia lo stile italiano a guidare le scelte in cucina.
 
Se la cucina italiana si evolve, allora è ben lontana dall’essere morta. Perché allora l’Accademia è nata, ormai più di cinquan’anni fa, al grido di “La cucina italiana muore!”?
Il fondatore Orio Vergani in realtà voleva dire “La cucina italiana vive!”. “Il cinema è morto!” è stato detto, ma è ancora vivissimo. “Dio è morto!”; ma mai come ora esistono le religioni. “Il romanzo è morto!”, e invece si pensi a quanto è venuto dopo… Negli anni ‘50 molti lanciarono un grido provocativo, e qualcuno disse “La cucina italiana muore!”. Perché la famiglia stava cambiando, il ristorante stesso stava cambiando, stavano per arrivare le grandi catene di ristorazione…stava per arrivare McDonald’s. Direi che anche in cucina siamo entrati in una fase postmoderna.
 
Cosa differenzia da un punto di vista sociale la cucina italiana dalle altre?
G.B.: A differenza di altre cucine, noi diamo molta attenzione all’origine degli alimenti; per noi è un elemento fondamentale.
F.H.: A questo proposito, ci troviamo spesso di fronte a due tipi di ristorante qui a Los Angeles: quelli che per preparare i loro piatti usano prodotti esclusivamente italiani, nel pieno rispetto della tradizione e della territorialità, e quelli che invece danno attenzione solo alla ricetta in sé, ma non all’origine degli ingredienti.
 
G.B.: Altre cucine possono eccellere in piatti di carne ad esempio, senza considerare se la carne viene dall’Argentina o dalla Spagna. Noi pensiamo invece che un buon prosciutto italiano debba venire da animali allevati in Italia. La nostra è una cucina molto legata alla territorialità, e per questo riflesso di storia e tradizione. È una cucina unica, ricca di elementi culturali, e da salvaguardare.

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