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Il Maestro in Gran Serata Futurista
Massimiliano Finazzer Flory (Monfalcone, 1964), dopo una carriera di attore/regista/drammaturgo teatrale, ha spezzato le barriere tra teatro e cinema, tempo e spazio, presentando, il 13 gennaio presso l’Istituto Italiano di Cultura, l’anteprima della sua opera cine-teatrale: Marinetti a New York.
 
Quali sono gli artisti che l’hanno ispirata maggiormente agli inizi della sua carriera?
Due scrittori e poeti: il boemo, Rainer Maria Rilke e l’argentino, Jorge Luis Borges. Il loro lavoro sulla parola è il loro “monumento”. Rilke ha cantato la mite Europa, mentre Borges ha espresso l’anima dell’America Latina. Amo questa conciliazione degli opposti.
 
Ci parli della genesi del suo film: Marinetti a New York.
Il film discende dallo spettacolo teatrale, una forma artistica che, per eccellenza, esprime il tempo presente, il qui e ora della rappresentazione. L’opera filmica è tesa a costituire un lascito eterno, che riscatti la storia ingiusta nei confronti del Futurismo. Il progetto, auspicato da tale movimento artistico, si è concretizzato a New York, attraverso l’architettura e gli altri traguardi della modernità. In quello stesso inizio ‘900, Guglielmo Marconi con il radiotelegrafo, rese possibile la prima forma di telecomunicazione “wireless”, superando persino la barriera dell’oceano Atlantico.
 
Attraverso un flash-forward, Filippo Tommaso Marinetti, fondatore e anima del Futurismo, viene catapultato ai giorni nostri. L’artista, percorrendo le strade di Manhattan, si scaglia contro i musei e prosegue fino a Brooklyn, in un capannone industriale, originale d’inizio ‘900.
Terminata la proiezione del mediometraggio (45 minuti), segue una mia breve performance teatrale (15 minuti), che squarcia lo schermo tra passato e futuro.
 
Come è stata la transizione dal teatro al cinema? Dal suo lavoro teatrale: Grande Serata Futurista al film.
Il film è stato da me coprodotto con i-ItalyTV (New York), in collaborazione con Gtech, e una versione televisiva è stata trasmessa il 27-28 dicembre sulla stazione: NYCTV – rete pubblica ufficiale del Comune di New York.
Non ho voluto nessuna finzione. La scena d’interni è stata girata per quattordici ore di fila, dalle 4 del pomeriggio alle 5:30 di mattina circa. In questo modo, è stata rappresentata la mia reale stanchezza fisica, il sudore, la fatica e anche, il cambiamento naturale della luce nell’arco della giornata.
Ho voluto ridurre al minimo il lavoro di montaggio. Oggi, in digitale, è letteralmente possibile continuare a costruire un’altra arte. Io ho adottato, invece, un metodo di riprese “live”, in cui non c’è protezione, per così dire. Pochissimo materiale è stato scartato in vista del prodotto finale.  
Mentre, il film, con il suo gioco di pause e sguardi, di interazioni con la videocamera, vuole essere una lezione d’arte, frutto delle confessioni di Marinetti a se stesso, l’opera teatrale, è un misto di urla e risa, che incorpora anche la danza.
 
Si definirebbe più un progressista (nel senso, non politico, di sostenitore del progresso) o tradizionalista?
Le due categorie sono inscindibili. Non c’è progresso senza storia alle spalle. Il vero problema sono le ideologie, che trasformano, da un lato, il progresso in progressismo e, dall’altro, la tradizione in tradizionalismo.
La Storia “ossifica” l’uomo di progresso, storicizzandolo. Così artisti, quali Giotto, Michelangelo, Leonardo, grandi innovatori del loro tempo, che hanno operato una rottura con la tradizione, vengono “riconformati” alla loro epoca da parte della Storia, in un continuo processo di rottura e ricostruzione.
 
Ci parli del suo prossimo progetto.
Uno spettacolo di teatro e danza, intitolato: Essere Leonardo da Vinci ‘intervista impossibile’. Leonardo rappresenta il vero protofuturista. A marzo, inizierà il mio tour negli USA, a Houston. Nell’“intervista”, ci sarà un interprete che mi interrogherà in inglese ed io, camuffato da Leonardo, risponderò in una parlata rinascimentale. Nella tournée, toccheremo mete importanti, quali la Morgan Library di New York e il Kennedy Center di Washington. In seguito, da maggio a ottobre, andrà in scena a Milano, in occasione dell’Expo.
Vorrei citare una frase del sommo maestro rinascimentale: “Chi non stima la vita, non la merita” (Codice I, 15), che è una sorta di fil rouge che unisce tutti i geni universali.
 
Lei fa ritorno a Los Angeles, dopo Pinocchio. Storia di un burattino (2013). Ci parli del suo rapporto con Los Angeles.
Amo Los Angeles, città incompresa dagli europei e, in particolare, dagli italiani. Il mio intento è quello di sviluppare l’asse Milano-Los Angeles. Nei prossimi giorni, discuterò della location losangelina, dove metterò in scena il mio lavoro leonardiano. Tra l’altro, Carlo Pedretti, massimo esperto su Leonardo Da Vinci, è professore emerito qui all’UCLA.
 
Il pubblico, qui a Los Angeles, crede nelle storie, è ancora capace di emozionarsi. Questo è il lascito principale di Hollywood. Infine, anticipo che, nel 2016, il mio lavoro teatrale leonardiano diverrà anch’esso un mediometraggio.

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