Il grande giornalista Indro Montanelli diceva che la memoria degli italiani dei loro autori è scritta sull’acqua e dunque destinata a sparire pochi anni dopo la loro morte. Purtroppo, come in molti dei suoi articoli, aveva ragione e come prova basta dire che a quattordici anni dalla sua morte i ragazzi, che oggi sono a scuola, sanno poco o niente di lui. 
Sebbene l’Italia giustamente esalti alcuni grandi autori come Dante Alighieri, Francesco Petrarca, Niccolò Machiavelli Carlo Goldoni, ce ne sono molti altri che sono stati scordati.
 
Il Corriere della Sera degli anni ‘40, ‘50 e ‘60 aveva una scuderia straordinaria di giornalisti che diventarono autori importanti per il nostro Paese. Montanelli era uno di questi, ma i suoi compagni di lavoro in quei decenni si chiamavano Dino Buzzati, Guido Piovene, Curzio Malaparte, Andrea Brancati, come anche Luigi Barzini padre e figlio.
Tra questi nomi di autori importanti, c’è anche il Premio Nobel per la letteratura Eugenio Montale che però fa parte a pieno titolo del curriculum scolastico ministeriale. Sarebbe tuttavia interessante sapere quanti ragazzi oggi a scuola sanno dire chi erano gli altri e quali libri scrissero. 
Questa memoria corta tocca tanti, troppi nomi. 
 
Anni fa, su consiglio di amici, ho cercato “La Gente d’Aspromonte” di Corrado Alvaro, conterraneo di mio padre e originario di San Luca, piccolo paese sul versante ionico-calabrese, ai piedi dell’Aspromonte, in provincia di Reggio Calabria. Me lo avevano descritto come il capolavoro dell’autore calabrese più importante. Il libro è considerato il migliore sulla vita della Calabria che fu e dà un ritratto prezioso della sua società. 
 
L’ho trovato, ma solo dopo numerosi viaggi e visite in tante città dove tutti mi dicevano che Alvaro non era più in stampa. Quando finalmente l’ho comprato era di seconda mano, trovato in una bancarella in piazza a Imola. I miei amici avevano ragione: il libro è davvero un capolavoro e vale la pena leggerlo.  
In un Paese che fa della sua Cultura un tesoro questa tendenza a dimenticare gli autori italiani è un mistero. 
 
Come i nostri grandi pittori e scultori, gli autori contribuiscono a creare il ritratto del Paese da decennio a decennio e da secolo a secolo. Le nostre vite brevi non ci fanno vedere direttamente i mutamenti enormi del Paese nel corso della Storia, ma i libri tengono vivi i ricordi della vita dei nostri avi. 
Leggere “La Pelle” di Curzio Malaparte significa ad esempio capire cosa voleva dire vivere in una città sotto controllo di soldati stranieri con i comportamenti inconsueti e i compromessi morali necessari per sopravvivere, e trovare un libro “scomodo” per molti. Infatti, chi leggerà il libro non si meraviglierà di sapere che Totò tolse il saluto all’autore in segno di offesa per il  modo impietoso con il quale l’autore descrisse Napoli.
 
 “L’Innocente” di Gabriele D’Annunzio ci porta nella società aristocratica della Belle Époque italiana, come pure fa un libro relativamente recente, “Padre Padrone” di Gavino Ledda, che ci insegna la vita dei pastori sardi degli anni Sessanta che ormai è quasi sparita. Potrei andare avanti per pagine citando autore dopo autore, ma l’elenco sarebbe enorme e anche un pò deprimente nel far notare quanti testimoni preziosi della nostra cultura sono ingiustamente e inspiegabilmente poco considerati.
 
Come facciamo a ricordare questi autori e a tenere vivi il ricordo e il valore delle loro opere? 
Naturalmente una parte della soluzione comprende il sistema scolastico. Però, dobbiamo essere realisti e capire che il numero di libri che gli studenti possono leggere senza far soffrire gli altri soggetti è necessariamente limitato.
I giornali potrebbero avere un ruolo importante come parte della soluzione. Come fanno con le opere di cantanti e registi che ormai sono parte integrante degli argomenti trattati dalle varie testate, potrebbero aumentare il numero di collane dedicate ad autori meno gettonati e non limitarsi a quelli più noti, come abbiamo visto fino ad ora. Ma certo nemmeno questo è sufficiente.
 
Oltre a provvedere personalmente ad arricchire quanto più possibile la nostra cultura personale, una grande parte della soluzione potrebber venire dall’assicurarci che questi autori siano conosciuti non soltanto in Italia, ma anche all’estero. 
Purtroppo il numero di lettori internazionali della nostra lingua non è grande, anche tra coloro che vorrebbero leggere i volumi dei loro predecessori, i discendenti degli emigrati italiani. Per questo motivo, come primo passo, dobbiamo incoraggiare al massimo la traduzione e vendita degli autori italiani in altre lingue.
Potrebbe sembrare un paradosso, ma tradurli in altre lingue è il passo fondamentale per far conoscere di più e dunque far ricordare nel futuro i nostri grandi autori. 
 
Nel cercare lettori nuovi dobbiamo cioè fornire i libri nelle lingue del mondo. Aumentare le vendite delle versioni tradotte di questi libri non solo farebbe aumentare la conoscenza di questi autori, ma avrebbe anche altri effetti positivi per il Paese.
 Il primo effetto sarebbe quello di incentivare i lettori ad imparare l’italiano per poter leggere le opere nella versione originale. Ovviamente il secondo effetto, e non è da poco, sarebbe di aumentare le vendite di libri che di conseguenza diventerebbero una fonte di guadagno per tutto il Paese e aiuterebbe le case editrici italiane che sono un crisi a causa del livello basso di vendite di libri in Italia.
 
Per esperienza diretta conosco le difficoltà nel cercare di tradurre opere in altre lingue, non solo per motivi tecnici legati alle differenze tra le lingue, ma anche e soprattuto per motivi legali. Non tutti coloro che mantengono i diritti sulle opere dei grandi autori vogliono vedere i loro libri uscire dal Paese in altri lingue. Come poi non è sempre facile trovare chi sia proprietario dei diritti degli autori e quando li si trova spesso non rispondono nemmeno alle richieste per poter fare il lavoro di traduzione.
 
 Benché nessuno metta in dubbio i poteri legali dei proprietari dei diritti, non voler trattare edizioni straniere di libri e non rispondere a eventuali richieste di fare edizioni internazionali delle nostre opere importanti, fa male sia alla memoria degli autori che al Paese stesso rinunciare a questa possibilità. Senza scordare poi la perdita di eventuali guadagni dalle vendite.
 Le opere importanti, siano esse letterarie o artistiche, non appartengono soltanto a chi ne mantiene i diritti. 
 
Queste opere appartengono a tutto il Paese, fanno parte della nostra identità nazionale. Alcune contribuiscono a definire all’estero cosa sia l’Italia e cosa voglia dire essere italiano. Un esempio lampante di questa identificazione è “Il Gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, sia come film che come libro.
Siamo tutti fieri d’essere italiani e gran parte di questo orgoglio viene dal conoscere il contributo che i nostri concittadini hanno dato in tutti i rami dell’esistenza, dove l’Arte e la Letteratura occupano posti di privilegio. Non dobbiamo scordare questi contributi, anzi, abbiamo l’obbligo di esaltarli.
 
Mettiamo in mostra i nostri autori al mondo. Non nascondiamoli negli scaffali delle nostre biblioteche, ma mettiamoli a disposizione in ogni paese del mondo così, finalmente, i lettori internazionali potranno scoprire questo nostro tesoro troppo spesso incomprensibilmente sottovalutato.

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