“Il più bel regalo che mi ha fatto l’allora Ministro Gentiloni è stata la delega per gli italiani nel mondo”. Così il sottosegretario agli esteri Vincenzo Amendola, partecipando alla presentazione dell’edizione 2017 del Rapporto Italiani nel Mondo, la pubblicazione della Fondazione Migrantes che da 12 anni fotografa gli italiani nel mondo. 

Connazionali portatori di “identità plurime”, come ribadito in più interventi oggi al Church Palace, e rivendicato anche da Amendola: “anche io lo sono”, ha infatti detto il sottosegretario, ricordando il suo passato di iscritto all’Aire, il suo rientro in Italia, il matrimonio con una giornalista italiana di origini marocchine.

“Nella storia delle identità del nostro paese c’è questa grande esperienza”, quella migratoria, che è “così complessa che l’elemento più drammatico sarebbe proprio quello di fermarsi su una cifra, su uno stereotipo”, quanto il mosaico è complesso e variegato, come dimostrano i dati del rapporto e le schede dedicate alle regioni italiane.

“L’emigrazione storica va protetta, perché fa parte della nostra identità”, ha aggiunto, ma essa stessa “si è estesa con i discendenti, generazioni con identità già plurime”; insieme “formano una famiglia italiana che vive oltreconfine che è così ampia che dobbiamo aggiornare meccanismi che tengano conto di tutti, senza chiudere il paese all’8% di immigrati che farà qui quello che noi stiamo costruendo all’estero”. 
“Stereotipi e semplificazioni sono ostacoli agli italiani all’estero”, ha proseguito Amendola, sottolineando l’importanza della “sussidiarietà per questi 5 milioni di italiani; la nostra ossessione, con risorse calanti, è quella di costruire un sistema di protezione paragonabile a quello che c’è qui in Italia”. 

Secondo il sottosegretario “la rete consolare, le ambasciate insieme alle realtà già esistenti come associazioni regionali, Comites, Cgie, patronati, sindacati, missioni cattoliche – devono costituire un sistema a maglie larghe che sappia dare un segnale di protezione”, cioè di “presenza”, che non significa “essere lì nelle emergenze, come accade in Venezuela”, ma anche “pensare ad assistenza e orientamento al lavoro e alla sanità, percorsi di inclusione”, e poi alla diffusione della lingua con “gli enti gestori, gli IIC e le scuole italiane all’estero”. 
“Questa struttura, questa alleanza deve essere messa a regime con le strutture pubbliche”, ha sottolineato Amendola, secondo cui “grazie a più investimenti nelle reti social e nelle tecnologie sono in grado di arrivare non dico a tutti, ma a molti”. 

In quest’ottica “iscriversi all’Aire” – per altro oggetto di una recente campagna sociale avviata dalla Dgit – significa proprio “fare parte di una rete” che “guarda a giovani”, ma anche “agli imprenditori che esportano e ai nuovi pensionati. Questo mondo ha bisogno di una rete di protezione a maglie larghe, in cui tutti comunicano le loro esperienze”, ha ribadito Amendola. 
Una rete che comprende “sia le identità regionali che le missioni cattoliche, come sperimento in tutti i miei viaggi all’estero”. 
Una rete che assiste i quasi 5 milioni di iscritti all’Aire, tutti con una “identità di cui siamo orgogliosi, su cui vogliamo costruire non nostalgia, ma rappresentanza”.


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